LA TECNOLOGIA INVADE IL MONDO

 

SCIENZA E INDUSTRIA
Due sono i fattori principali che hanno dato impulso a questo progresso della conoscenza: l’intervento del potare pubblico, con finanziamenti e strutture, in favore della ricerca scientifica e l’intreccio sempre più stretto fra scienza e tecnica, fra la ricerca pura e le sue applicazioni pratiche. Applicazioni destinate, attraverso l’industria, a trasformare radicalmente la vita quotidiana delle persone. Scienza, stato e industria diventano in questo periodo i tre grandi poli del progresso economico e del benessere. Nessun paese ha più potuto pensare di svilupparsi senza grandi investimenti di risorse nella ricerca scientifica e tecnica. Nella prima rivoluzione industriale il rapporto fra industria e scienza aveva avuto un carattere abbastanza casuale: l’opera di geniali inventori era stata utilizzata felicemente per risolvere problemi tecnici di proporzioni ancora modeste.


FILOSOFIA E SOCIETA’ INDUSTRIALE: IL POSITIVISMO
Sul piano culturale, questa centralità della scienza e della tecnica trovò espressione nel Positivismo, la teoria filosofica più diffusa nella seconda metà dell’Ottocento. Il termine fu coniato dal francese Auguste Comte, che nella sua opera fondamentale, il Corso di filosofia positiva, fornì la base teorica ed elaborò l’orientamento positivista, dando origine a una vera e propria scuola. A partire dalla metà del secolo il Positivismo si diffuse in tutta Europa, assumendo progressivamente i tratti di una filosofia, di una visione del mondo e di una ideologia capaci di esercitare vastissima influenza.
Il Positivismo ritiene dunque: a) che l’unica conoscenza che l’uomo ha del mondo sia di tipo scientifico, costruita attraverso l’osservazione dei fenomeni, la formulazione di ipotesi e la loro verifica sperimentale; b) che la ricerca scientifica debba essere assolutamente indipendente dalla religione; c) che ogni manifestazione della natura e della vita dell’uomo sia spiegabile in termini scientifici. È possibile perciò analizzare scientificamente la società, attraverso le sociologia, così come si studia un organismo; ed è ugualmente possibile indicare, attraverso la scienza, le cure più adeguate a guarire i problemi di questo organismo, cioè a gestire la società nel modo migliore.

 

LA FINALITA’ SOCIALE DEL SAPERE
Centrale è dunque nel Positivismo il tema, di derivazione illuminista, della destinazione sociale del sapere. La scienza ha senso in quanto serve a produrre strumenti di trasformazione della natura e di direzione dei processi sociali: questi ultimi andranno sottratti alle influenze di tipo metafisico e religioso per essere finalmente regolati in modo razionale e scientifico.

 


LA TEORIA DI DARWIN
L’impatto sociale e culturale dello sviluppo scientifico e del Positivismo andò molto al di là della ristretta cerchia degli studiosi, caratterizzando profondamente il modo di pensare di un’intera epoca. Questo è particolarmente evidente a proposito di una delle principali teorie scientifiche maturate in ambito positivista, la teoria dell’evoluzione della specie presentata dal naturalista inglese Charles Darwin nell’opera "Sull’origine delle specie". La teoria di Darwin proponeva una spiegazione unitaria di fenomeni naturali che avevano da sempre attirato l’attenzione e gli sforzi degli studiosi, quali l’enorme varietà delle forme degli organismi viventi, l’esistenza di infinite differenze ma anche di grandi affinità fra le diverse specie e fra gli individui di una stessa specie, l’ordine e l’equilibrio del mondo animale e vegetale.

 

EVOLUZIONE DELLA SPECIE E SELEZIONE NATURALE
Darwin rovesciò completamente questa impostazione, sostenendo che il mondo naturale conosciuto è il risultato di un’evoluzione durata centinaia di milioni di anni. L’infinita varietà del mondo vivente è il risultato di un lento processo di differenziazione a partire da poche forme originarie, nel corso del quale alcune specie hanno modificato i propri caratteri, altre sono scomparse, altre ancora sono nate. La natura è così attraversata da un continuo mutamento evolutivo che ne trasforma incessantemente il volto.
Ma perché e come avvengono i cambiamenti nel mondo naturale? Per spiegare questo punto fondamentale, Darwin elaborò la legge della selezione naturale. In ciascun ambiente gli individui sono in competizione fra loro e con quelli di altre specie. La posta di questa competizione o lotta per l’esistenza è la sopravvivenza, perché la popolazione di ogni specie è sempre in eccesso rispetto alle risorse fornite dall’ambiente.
Al di là del suo valore scientifico, l’importanza culturale della teoria di Darwin sta nel fatto che essa metteva in discussione alcuni presupposti secolari della cultura occidentale. Negando che l’ordine naturale fosse il risultato di un disegno divino e provvidenziale, escludeva che i processi naturali avvengano per un fine, per uno scopo sovrannaturale e superiore. La natura, per Darwin, opera in base a leggi proprie, non secondo un piano generale concepito da una mente divina.

 

LE REAZIONI ALLA TEORIA DI DARWIN
In una parte della società europea, in primo luogo negli ambienti religiosi, la teoria evoluzionista fu duramente combattuta. Darwin infatti, smentendo apertamente le affermazioni della Bibbia circa la creazione dell’uomo e delle altre specie sottraeva anche la biologia la scienza della vita, all’influenza dei principi religiosi così come era già accaduto per la fisica. La sua teoria descriveva la vita e la storia dell’uomo in termini esclusivamente naturali, senza ricorrere ad alcuna entità soprannaturale e provvidenziale.
Ma in altri settori della società la teoria di Darwin ebbe grandissimo successo, ben al di là dell’ambito scientifico. Essa colpiva evidentemente l’immaginario collettivo del tempo, dando forma a desideri di novità e scuotendo certezze consolidate.

 

L’IDEA DI PROGRESSO: UNA CONVINZIONE COLLETTIVA
La cultura positivista diede enorme diffusione all’idea di progresso teorizzata esplicitamente per la prima volta dall’Illuminismo: i successi della scienza e della tecnica sembravano confermare questa convinzione, sino a farla diventare un ingrediente fondamentale del modo di pensare diffusi nell’Ottocento.
È importante sottolineare come le nuove scoperte, oltre ad avere un’enorme importanza economica, influissero profondamente anche sulla vita quotidiana e sulla mentalità. Un cittadino medio europeo o americano alla fina del secolo, poteva andare oltre oceano in sette giorni; utilizzava tram elettrici o metropolitane per attraversare in breve tempo grandi città illuminate dai lampioni elettrici; telefonava o telegrafava senza difficoltà a migliaia di chilometri di distanza; schiacciava un interruttore per avere la luce, apriva un rubinetto per avere acqua calda e fredda; non doveva più temere né peste né colera.
Il contadino della società preindustriale aveva di fronte a se un mondo statico, in cui gli eventi significativi si ripetevano secondo il ritmo delle stagioni. Il borghese, e in qualche modo anche l’operaio, di fine Ottocento viveva invece in una realtà dinamica, caratterizzata da continui mutamenti.

 

ALCUNI SEGNI DI CRISI
Tuttavia questa convinzione ottimistica, in apparenza così indiscutibile, mostrò ben presto il proprio carattere complesso e problematico. Era il corso storico stesso man mano che la società europea si avviava verso la prima guerra mondiale, a preparare la crisi di questa idea. L’ingiustizia sociale, che generava conflitti sempre più aspri; l’imperialismo sempre più aggressivo; il dilagare di movimenti reazionari, come il nazionalismo e il razzismo; quindi la grande catastrofe della guerra mondiale: questi furono gli elementi che avrebbero messo in crisi la fiducia un po’ ingenua nel progresso che l’Ottocento aveva coltivato.
Pochi però mostravano di accorgersene: tra il 1900 e il 1914, proprio mentre l’Europa ottocentesca precipitava verso la sua fine, si celebrava la bella époque, ricordata poi con grande nostalgia come il tempo in cui tutto andava per il meglio.

 

LA REAZIONE AL POSITIVISMO
La cultura positivista, riformulava con una forza che le derivava dal progresso tecnico-scientifico, i principi del razionalismo illuminista, nella convinzione che la razionalità scientifica sia lo strumento con il quale interpretare e trasformare la realtà. Ma già alla fine del XIX secolo, e poi con sempre maggior forza nei primi decenni del nuovo secolo, si venne manifestando nella cultura europea un movimento di reazione al Positivismo che influenzò la filosofia, la letteratura, l’arte, la politica. Si rimproverò al Positivismo di esaltare in modo acritico i fatti, la realtà, la scienza, perdendo di vista altre dimensioni fondamentali dell’uomo, come l’interiorità, il vissuto, la spiritualità; di voler ridurre ogni tipo di sapere ai metodi e alle leggi delle scienze naturali, precludendosi così la possibilità di comprendere realmente la complessità del mondo e della vita; di voler togliere senso e valore a tutto ciò che non è scientifico, impoverendo così irrimediabilmente ogni ricerca artistica, filosofica, religiosa.

 

LA CRITICA DEL RAZIONALISMO POSITIVISTA
Filosofi come il tedesco Friedrich Nietzsche, l’italiano Benedetto Croce, il francese Henri Bergson, anche se da punti di vista molto diversi fra loro ebbero in comune un’aspra critica dell’atteggiamento positivista. In parte, questa critica nasceva dagli stessi progressi della scienza: nuove teorie scientifiche apportarono nuove conoscenze, ma nello stesso tempo smentirono teorie sino a quel punto ritenute inattaccabili: parve allora che nemmeno la scienza potesse fornire certezze assolute, punti di vista univoci dai quali guardare la realtà. Si diffuse l’idea che la verità, anche quella scientifica, dipendesse da convenzioni accettate e condivise, più che dalla capacità di descrivere e spiegare la realtà in modo oggettivo, e che essa fosse dunque non assoluta, ma relativa alle situazioni, all’epoche storiche, agli strumenti impiegati per ricercarla ed elaborarla.
In alcuni pensatori e ambienti intellettuali questa crisi della fiducia nell’esistenza di un sapere certo, oggettivo, condusse a posizioni di vero e proprio irrazionalismo, cioè alla convinzione che non solo la ragione non fosse in grado di produrre verità stabili, ma che addirittura essa andasse respinta in nome di più ricche qualità dell’uomo, quali l’intuizione, il sentimento, la fantasia, la libera creatività.

 

NAZIONALISMO E RAZZISMO
Tradotta sul piano dei comportamenti politici e delle ideologie, la tendenza antirazionalista o irrazionalista diffusa nella cultura europea di fine secolo assunse caratteri nettamente antiliberali e antidemocratici. Essa si combinò con le tendenze storiche in atto generando un clima in cui i valori della civiltà liberal-democratica e socialista vennero messi radicalmente in discussione.
L’ideologia che con più forza e con più successo incarnò questa nuova cultura politica fu il nazionalismo: movimenti e partiti nazionalisti sorsero ovunque negli anni che condussero alla prima guerra mondiale; successivamente, l’ideologia nazionalistica costituì una componente decisiva nell’affermazione dei regimi totalitari europei.
Il nazionalismo di fine secolo interpretava in modo profondamente mutato gli ideali di nazionalità sorti con la Rivoluzione francese e diffusisi nell’età napoleonica e nel corso della restaurazione.
Al di là delle differenze esistenti trai vari movimenti nazionalisti, essi avevano alcuni tratti ideologici in comune:

 

                     

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