GLI ARTISTI


Umberto Boccioni
Boccioni, Umberto (Reggio Calabria 1882 - Verona 1916), pittore e scultore italiano, teorico e principale esponente del movimento futurista. Dopo l'arrivo a Milano e l'incontro con i divisionisti e con Filippo Tommaso Marinetti, scrisse, insieme a Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini, il Manifesto dei pittori futuristi (1910), cui seguì il Manifesto tecnico del movimento futurista (1910): obiettivo dell'artista moderno doveva essere, secondo gli autori, liberarsi dai modelli e dalle tradizioni figurative del passato per volgersi risolutamente al mondo contemporaneo, dinamico, vivace, in continua evoluzione. Quali soggetti della rappresentazione si proponevano dunque la città, le macchine, la caotica realtà quotidiana. E nelle sue opere, Boccioni seppe esprimere magistralmente il movimento delle forme e la concretezza della materia.
Benché influenzato dal cubismo, cui rimproverò l'eccessiva staticità, Boccioni evitò nei suoi dipinti le linee rette e adoperò colori complementari. In quadri come Dinamismo di un ciclista (1913 ca., collezione Mattioli, Milano), o Dinamismo di un giocatore di calcio (1911, collezione privata, Roma), la raffigurazione di uno stesso soggetto in stadi successivi nel tempo suggerisce efficacemente l'idea dello spostamento nello spazio. Simile intento governa del resto anche la scultura di Boccioni, per la quale spesso l'artista trascurò i materiali nobili come marmo e bronzo, preferendo il legno, il ferro e il vetro. Ciò che interessava era illustrare l'interazione di un oggetto in movimento con lo spazio circostante.

Tra le opere pittoriche più rilevanti di Boccioni ricordiamo Rissa in Galleria (1910, collezione Jesi, Pinacoteca di Brera, Milano), Stati d'animo n. 1. Gli addii (1911, collezione privata, New York) – in cui i moti dell'animo sono espressi attraverso lampi di luce, spirali e linee ondulate disposte diagonalmente –, Forze di una strada (1911, Kunstmuseum, Basilea), dove la città, quasi organismo vivo, ha peso preponderante rispetto alle presenze umane.


Giacomo Balla
Balla, Giacomo (Torino 1871 - Roma 1958), pittore italiano, tra i maggiori esponenti del movimento futurista e tra i primi rappresentanti dell'arte astratta italiana. Nel 1908 conobbe Umberto Boccioni, di cui fu maestro, e insieme a lui e a molti altri artisti firmò, nel 1910, il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista. In opere quali Dinamismo di un cane al guinzaglio (1912, Albright-Knox, Art Gallery, Buffalo) e Bambina che corre sul balcone (1912, Galleria d'Arte Moderna, Milano), Balla cercò di catturare sulla tela movimento e velocità, espressioni del dinamismo che i futuristi consideravano l'essenza della civiltà moderna. Altre opere significative di questo periodo sono Velocità di automobile (1913, Museum of Modern Art, New York) e Voli di rondine (1913, Museum of Modern Art, New York). Dopo aver redatto con Fortunato Depero il manifesto della Ricostruzione futurista dell'universo nel 1915 Balla, allontanandosi progressivamente dal futurismo nel corso degli anni Venti, lo abbandonò del tutto nel decennio seguente, tornando alla pittura figurativa.

L'idea che abita le composizioni di Balla nasce senza dubbio dal ritmo della città moderna, fatta di avvenimenti che sembrano accavallarsi, intrecciarsi incessantemente in maniera fragorosa. L'effetto "ornato" è la conseguenza di questa teatralizzazione dell'energia del caso.

E' il sentimento di fondo dell'opera, affermativo di un'arte che mette in scena la vita per movimenti e mutamenti, in un'ottica per la quale conoscenza e progresso sono tutt'uno.

Ma, paradossalmente, le immagini di Balla sono irripetibili, in quanto bilanciate da un sentimento dell'ironia che travolge le figure. L'allegria abita tutte le composizioni e le dispone sotto un segno di celebrazione della vita più che della macchina, dei gioco più che della produzione.

In defìnitiva per Balla la città è lo spazio degli incontri casuali, il luogo della dinamizzazione dell'imprevedibile che la tecnica ha il potere di moltiplicare. L'arte è lo strumento di formalizzazione di tale allucinazione, definendone il campo visivo. I1 movimento futurista, in uno sguardo retrospettivo, è stato più equilibrato di quanto non sembri a prima vista o leggendo i documenti dell'epoca. Infatti le opere e í manifesti teorici ci consegnano l'identità di un gruppo artistico che coniuga apologia internazionalista della macchina e recupero della radice mediterranea. In ogni caso quello che marca anche la prima generazione futurista è l'adesione al principio dell'arte come ricerca capace di assumere "l'oggettività" del portato scientifico. Balla opera con un impeto interdisciplinare che lo immette in soluzioni linguistiche rispondenti sempre a una filosofia dell'esperienza creativa. Una sorta di sguardo fenomenologico regge la mano dell'artista che non compie alcun processo di proiezione o di identificazione affettiva verso i materiali recuperati per la composizione dell'opera: essa è il frutto di una operazione di stanziamento che accompagna l'assunzione di elementi extraartistici. Si può dire non esista complicità tra Balla e la materia, per un pathos della distanza che impregna l'ironia in un effetto di impassibilità ottica.

Nel caso di Balla il campo è dato da una vista dall'alto della composizione che ci restituisce la mappa totale dell'immagine e nello stesso tempo ci impedisce una interrogazione ravvicinata. L'arte diventa conoscenza della grande lontananza intesa come preclusione di sfondare il mistero della imperturbabilità della materia e possibilità di trovare il nodo, il cannocchiale giusto, per inquadrare la superficie delle cose stesse. Una sorta di ottica aerea assìste l'opera di Balla che tende così ad evidenziare il processo di approccio a sfidare la strutturale impersonalità della ricerca scientifica mediante la fondazione di un oggetto linguistico autonomo rispetto al suo autore, capace di mostrarsi nella stessa estraneità che accompagna il rapporto di analisi dello scienziato con il suo campo investigativo. Una luce mentale illumina letteralmente l'opera di Balla, disegno o pittura, tale luce non esibisce fremiti mistici o metafisici, semmai tende a sottolineare i caratteri strutturali del fenomeno della conoscenza che sono, nel campo dell arte, l'indeterminazione e la bellezza.

Nell'opera di Balla circola sempre un'aura, una oggettività estraniante che forma intercapedine tra sguardo dello spettatore e manufatto artistico.

Questa è la dimensione del galleggiamento, una sospensione frontale schiacciata dall'alto dell'immagine che presenta in tal modo le sue componenti in una sovrapposizione di piani. Gli organismi formali di Balla infatti si danno sempre come geografie cosmiche, carte geografiche per lo sguardo che indietreggiando può assumere una visione totale, e per questo filosofica delle cose. Le cose ovviamente sono la cosa! la materia costitutiva di tutte le materie, che sprona l'artista ad applicarsi con gli strumenti che gli sono propri e che non gli impediscono una sfida conoscitiva capace di sottrarsi al pathos della soggettività e della declinazione sentimentale.

Infatti nell’opera non c'è mai caduta lirica, intesa come afflato puramente emotivo, semmai una tensione verso un respico cosmlco in cui sono i livelli geologici dell immagine a produrre profondità e larghezza. La profondità è l effetto di una concezione filosofica che trova le proprie radici nei pensiero teosofico che permea tutta la produzione teorica ed in parte artistica del futurismo di Balla.

Centrale nel suo lavoro è la convergenza di tutti gli strati della cultura ed anche di tutti i linguaggi possibili, in un movimento verso la totalità espressiva che coniuga ineleme arcalsmo e modernità, materia e tecnica, in una tensione che talvolta sfiora accenti wagneriani come nei caso di "Feu d'artificie" di Strawinskij. Arcaica la stratificazione delle forme, moderna la concezione della consonanza tra la ricerca artistica e quella scientifica. La visione di superficie, che regge l'opera di Balla dalle "Compenetrazioni iridescenti" del 1912 in avanti, è l effetto di una concezione sperimentale dell'arte, della conquista di un idea spaziale che non affonda nell'illusione del "trompe l'oeil" ma piuttosto cresce appunto sulla superficie e magari conquista una terza ed una quarta dimensione corrispondente alle concezioni più avanzate della scienza moderna.

Tutto si tiene nell'opera di Balla in quanto si radica al di sotto della forma, una concezione unificante, una costellazione di elementi, un intreccio di segni e materie che galleggiano nella naturale instabilità dinamica dello spazio e del tempo, all incrocio di queste due dimensioni che sono le coordinate di ogni movimento. Stasi e movimento, disegno e spessore si alternano in ogni composizione, calata in uno spazio circolare, come la volta celeste, in cui i corgi sono soggetti ad un moto perpetuo ed inarrestabile, lento fino ai punto di permettere la percezione di ogni dato particolare.

Vicino e lontano, intero e dettaglio si intrecciano nell ottica del quadro che si presenta come un universo oggettivamente presente sotto lo "sguardo-cannocchiale" dello spettatore.

I caratteri di oggettività e di presenza concreta sono riaffermati mediante l'assunzione di un ulteriore carattere appartenente non alle arti figurative ma al teatro, all'evento. La cornice dipinta crea una sorta di messa in scena che circoscrive l'accadimento: l'immagine si avvera nella sua oggettiva estraneità di materia e di forma alla contemplazione dei pubblico. Quest'ultimo in qualche modo è attratto a misurarne la dinamicità temporale, l'impennarsi plastico della forma.

Tale dimensione presuppone insieme il peso concreto della materia e l'astrazione mentale, l'essenza del numero e l'evoluzione biologica della materia, la crescita e l'arresto, il volume e il puro colore. Ecco il titolo ad una sua composizione: "i numeri innamorati".

Arriviamo così all'astrazione di forme non rinvianti più all'iconografia cinetica dei futurismo ma ad una sorta di universo neoplatonico, dove le forme pure nella loro concreta astrattezza si fronteggiano nella perfezione di un'immobilità comprendente ogni possibile movimento, essenza dell'arte che trasfigura ogni dettaglio in dato universale.


Carlo Carrà
Carrà, Carlo (Quargnento, Alessandria 1881 - Milano 1966), pittore italiano, esponente di primo piano del futurismo e della corrente metafisica. La sua formazione artistica si compì in ripetuti soggiorni a Milano, Parigi e Londra. Solo nel 1906 Carrà si iscrisse all'Accademia di Brera a Milano, dove fu allievo di Cesare Tallone. Dal 1911 al 1914 fu di nuovo a Parigi: nella capitale francese si avvicinò a Guillaume Apollinaire, e frequentò i due fondatori del cubismo Pablo Picasso e Georges Braque.

La sua pittura conobbe un primo periodo divisionista, quindi si orientò decisamente ai canoni e agli stilemi del futurismo con opere quali I funerali dell'anarchico Galli (1911, Museum of Modern Art, New York). Nel 1910 Carrà firmò il Manifesto della pittura futurista, e negli anni immediatamente a seguire sostenne il nuovo movimento artistico e letterario con diversi scritti pubblicati sulle riviste "Lacerba" e "La Voce". Nel 1916 conobbe a Ferrara Giorgio de Chirico, Alberto Savinio e Filippo de Pisis, e si volse alla pittura metafisica (La camera incantata, 1917, Collezione Jesi, Milano). A partire dal 1921 si nota nella sua opera un recupero della tradizione pittorica italiana antica, soprattutto nell'interpretazione di Giotto e Masaccio, che gli ispirò un'arte più figurativa, concretizzata in paesaggi e nature morte (Il pino sul mare, 1921, Collezione Casella, Roma; e Vele nel porto, 1923, collezione privata, Firenze). La sua attività divenne intensissima: Carrà allestì numerose mostre, e ottenne premi e riconoscimenti ufficiali. Nelle ultime opere l'artista tornò a guardare alla pittura francese, e in particolare a Paul Cézanne, la cui produzione ispirò probabilmente alcuni quadri paesaggistici dipinti in Valsesia e Toscana.

Oltre alle numerose tele, Carrà lasciò un importante corpus di opere grafiche e diversi scritti: Pittura metafisica (1919), una raccolta di saggi, critiche d'arte per "L'Ambrosiano", di cui fu collaboratore per molti anni, e l'autobiografia La mia vita (1945).


Antonio Sant'Elia
Sant'Elia, Antonio (Como 1888 - Monfalcone, Gorizia 1916), architetto italiano.
La sua attività teorica e i suoi progetti influenzarono profondamente l'architettura moderna, nonostante la morte precoce nella prima guerra mondiale ne abbia impedito la realizzazione. Dopo aver studiato all'Accademia di Brera, a Milano, ed essersi laureato in architettura a Bologna, nel 1912 aprì un proprio studio nel capoluogo lombardo. Nel 1914 aderì al movimento futurista, guidato da Filippo Tommaso Marinetti; espose le sue teorie in un Messaggio di introduzione alla mostra intitolata "Nuove tendenze" e firmò, insieme a Marinetti e a Carlo Carrà, il Manifesto dell'architettura futurista. Influenzato in parte dall'architetto austriaco Otto Wagner, si oppose alle principali correnti dell'architettura europea; abbozzò edifici dalle semplici linee verticali, con pochi o nessun elemento decorativo, a volte con ascensori esterni e collegati da strade sopraelevate e da passaggi. I progetti e la posizione teorica ne fanno un precursore del Movimento Moderno e dell'urbanistica degli ultimi decenni, improntata alla visione di grandi centri metropolitani organizzati in base a megastrutture.
Alla mostra organizzata nel 1914 a Milano dagli Architetti Lombardi, Sant'Elia ebbe occasione di farsi conoscere grazie alle sue sedici tavole in cui era rappresentata la nuova realtà urbana, con richiami alle varie strutture cittadine (stazioni, centrali, parchi, ecc.).
Tre delle sedici tavole furono dedicate alla Centrale Elettrica (qui sopra), simbolo della cattedrale del futuro, secondo l'artista. Il monumentalismo è accentuato dalle tre possenti ciminiere proiettate verso l'alto e dall'impatto visivo generale della struttura, che si impone sulla natura e sull'ambiente circostante. Non vi sono nelle sue tavole richiami a decorazioni, poichè le forme e le tipologie degli edifici non le richiedono. L'impatto visivo e l'espressività sono già determinati dalla costruzione stessa. Ogni parte del disegno è dinamica e allo stesso tempo ferma e ingombrante. Per dare l'effetto di dinamismo vengono usate forme esili, lanciate, ripetute (le tre ciminiere) e anche contrastanti fra loro (le ciminiere alte e slanciate, contro la base tozza e ribassata). Anche la prospettiva inusuale (dal basso o dall'alto) aiuta l'immagine ad essere dinamica e rende maestosa la costuzione. Il forte contrasto dei colori ci danno l'idea della dimensione di questi progetti e dello spazio che avrebbero occupato una volta costruiti. L'architettura di Sant'Elia risulta essere, così, innovativa e inedita nelle form e nella destinazione. I progetti dell'architetto comasco olevano anticipare le aspettative di una nuova civiltà industriale, basata sulla produzione, sul commercio e sul consumo. I suoi progetti rappresentarono allora un mondo immaginario, del futuro, che nessuno si sarebbe mai sognato di vedere. Ma nei giorni nostri strutture ed edifici del genere sono ormai caratteristici di ogni città.

              

 


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